Cinque Pensieri per Irene

Ludovico Pratesi, Ottobre 2006 (ENG version)

1.
Lo sguardo di Irene Kung non è narrativo, ma sintetico. Non esplora paesaggi, ma forme quotidiane. Quelle sfiorate dai nostri occhi milioni di volte, tanto da non meritare più la nostra attenzione. Meritevoli di una familiarità senza incertezze.

2.
Le fronde di un platano. Le cupole di monumenti antichi e moderni. Uno schizzo d’acqua, una nuvola persa nel cielo. Le geometrie sospese di una felce. Soggetti comuni, apparentemente e volutamente banali. Toccati dallo sguardo morbido ma implacabile dell’artista, che ne ha colto l’ essenza. E ha saputo avvicinarla a noi. Un’essenza di forme sospese in spazi immobili e profondi.

3.
Una mise en abime del quotidiano. Un invito ad entrare dentro l’immagine, a leggerne la trama fatta di dettagli quasi invisibili. Ad andare oltre il soggetto, superando la barriera della familiarità. Per costruire un equilibrio tra luce ed ombra, proiettato verso l’interno delle cose. E nel contempo rivelarne la verità.Senza artifici o finzioni.

4.
Saper vedere. Questo è il compito di un artista contemporaneo che si esprime attraverso la fotografia.Un linguaggio ambiguo e difficile, apparentemente oggettivo ma in realtà violento e spietato. Capace di modificare la naturale distanza tra noi e le cose, fino a deformare la loro natura. Nel bene o nel male. Sincero e traditore allo stesso tempo.

5.
Irene Kung non ha voluto tradire le forme attraverso l’obiettivo. Le ha rispettate. Non ha ingannato il nostro sguardo. Lo ha accompagnato al di là dell’ambigua soglia dell’apparenza. Dentro un luogo dove le cose rivelano l’anima più autentica. Dove è possibile perdersi, per fare esperienza della visione.